Nuova avventura su un 4000 di Matteo Campanella, giovane alpinista ticinese. Ventidue anni, in testa un obiettivo chiaro: salire il Corno Nero e il Balmenhorn in giornata in compagnia di Simone. La giornata non è perfetta, nevica e c’è una nebbia insidiosa, ma il passo è deciso. La voglia di misurarsi con la montagna, di capire fin dove può arrivare. Il suo, come sempre, è un racconto appassionante, un romanzo da leggere in un fiato.
La sveglia suona presto anche questo sabato, 03:00 del mattino, ho dormito solo un paio d’ore, come succede quasi sempre prima delle giornate molto attese in montagna.
Vado in cucina e finisco la pizza che ho preparato la sera prima, ovviamente non ho fame ma butto giù le ultime 3 fette, quest’energia sarà preziosa più tardi.
Salto in macchina, confermo la partenza al mio compagno di cordata (un ragazzo di nome Simone, conosciuto su Facebook che ha risposto a un mio annuncio un paio di settimane fa) e via verso una nuova avventura, mi aspettano circa 2 ore e 45 minuti di macchina per arrivare ad Alagna Valsesia, punto di partenza degli impianti che portano a Punta Indren.
Senza nemmeno accorgermene sono già al parcheggio di Alagna e preparandomi incontro Simone, anche lui appena arrivato.
La salita fino a Punta Indren la passiamo ripassando l’attrezzatura, organizzando gli imbraghi e soprattutto spalmando la crema da sole (sono previste schiarite progressive fino ad arrivare a sole pieno nel pomeriggio).
IL GHIACCIAIO D’IDREN E I RIFUGI
Partiamo dalla funivia circa alle 08:30, ci incamminiamo con calma visto che né io ne Simone siamo acclimatati.
Attraversiamo con attenzione il ghiacciaio d’Indren, questo perché non vogliamo ancora indossare i ramponi, però c’è molto ghiaccio vivo che affiora quindi è richiesta una certa attenzione, io mi aiuto con entrambi i bastoni per mantenere l’equilibrio.
Dopo pochi minuti, ci ritroviamo sotto al salto roccioso che ci separa dai rifugi Gnifetti e Mantova, lo risaliamo su un ottimo sentiero inizialmente in traverso, verso la fine la strada si fa più ripida e appaiono le prime corde fisse, le difficolta di questa parte risultano decisamente trascurabili; quindi, ci muoviamo in scioltezza.
Sbuchiamo sul ghiacciaio del Lys, attraversiamo quindi con cautela la prima lingua glaciale della giornata fino al rifugio Gnifetti, punto in cui ci legheremo in cordata e indosseremo i ramponi, fin qui impieghiamo poco meno di 1 ora.
Dopo una piccola discussione sulla lunghezza della nostra cordata ci accordiamo su una decina di metri abbondanti, partiamo così per la nostra salita sul ghiacciaio del Lys, facendo attenzione a mantenere un ritmo abbastanza tranquillo per tenere bassi i battiti, guadagniamo rapidamente quota e senza quasi accorgerci siamo già a 4000 metri, circa alle 10 e 45.
Fino ad ora le condizioni lasciano desiderare, whiteout completo che mi costringe a guidare la cordata servendomi quasi solo del GPS.
LA NEVE RIDUCE LA VISIBILITÀ
Salendo abbiamo scambiato qualche parola con dei veneti diretti al colle del Lys, che ci consigliano di tenere la traccia di sinistra, aggirando il Balmenhorn e successivamente girando a destra per andare al Corno Nero.
Il mio compagno però vuole passare a destra, dal colle Vincent, io mi adeguo e cambio rotta.
Ora inizia a nevicare, e c’è neve nuova che copre tutte le tracce, la visibilità è limitata a 5 metri al massimo e fa abbastanza freddo; quindi, rallentiamo significativamente in quanto Simone non vuole assolutamente abbandonare le tracce per paura dei crepacci, io faccio del mio meglio ma è molto difficile a tratti, individuare la traccia.
A volte mi chino verso terra per cercare di vedere se ci sono segni di passaggio, se fosse per me io mi muoverei seguendo una via più logica e intuitiva ma Simone vuole evitare qualsiasi rischio, quindi mi adeguo.
Giungiamo al Colle Vincent intorno alle 11:35, da qui una seconda ricerca bendata della traccia; finalmente prendo l’iniziativa di passare da dove dico io, attraversiamo velocemente il pendio che ci porta sotto il cristo delle vette.
È circa mezzogiorno e io sono fermamente convinto che abbiano tutto il tempo di raggiungere tranquillamente la nostra meta, Simone comincia a dubitare delle nostre chance invece.
L’ALTITUDINE SI FA SENTIRE PER SIMONE
Da qui lui comincia a sentire parecchio l’altitudine, non è mai stato sopra i 3700 metri e non essendoci acclimatati, ci siamo esposti consapevolmente alla possibilità del mal di montagna prestiamo quindi molta attenzione alle sue condizioni. Comincio a chiedere sempre più spesso a Simone come si sente per assicurarmi di non spingerlo troppo.
Fortunatamente non arriveremo a quel punto e si rivelerà sufficiente rallentare per poter andare avanti senza rischiare che stia male.
Io comunque faccio del mio meglio per mantenere alto il morale, nonostante le pessime condizioni. Mentre la nebbia si infittisce conduco la cordata lungo la traccia ormai evidente, (dal Cristo delle Vette passa moltissima gente) rassicurando Simone visto che la nostra punta è ormai a un tiro di schioppo.
Qui il crollo di Simone si manifesta più evidente, rallento quindi il passo di un buon 35% e continuo a spronarlo a tenere duro, mancano poche centinaia di metri e pochissimo dislivello.
Lui comincia a ventilare la possibilità della ritirata, le condizioni stanno peggiorando rapidamente e lui è molto influenzato dalla quota, soprattutto mentalmente penso. Sembra credere che ormai non possiamo più arrivare in vetta prima delle 13:30, il nostro orario prestabilito di inizio della discesa, come se ciò non bastasse si alza il vento, e la neve che sta ormai scendendo in quantità ci si infrange sulla faccia.
L’ATTACCO DELLA RAMPA FINALE DEL CORNO NERO
Però fiducioso continuo a camminare tranquillamente e in una trentina di minuti al massimo arriviamo nel punto dove la traccia per il Corno Nero lascia quella principale, anche se oggi è coperta da neve nuova. Scorgo degli alpinisti sulla punta che stanno scendendo.
Appena cominciamo ad andare verso l’attacco della rampa finale inizio a sprofondare nella neve fino a sopra gli stinchi, qui a causa dello sforzo considerevole per battere la traccia comincia anche il mio rapido deperimento dovuto all’altitudine (probabilmente gli altri sono arrivati da sopra e quindi non sono passati da qua).
Quindi rallento per limitare i danni, stringo i denti e mi impegno a non mostrare troppo la mia sofferenza, per non peggiorare lo stress di Simone che ormai direi da un’ora sta sperimentando un po’ di sconforto e insicurezza.
In 15 lunghi minuti arriviamo al crepaccio terminale che ci dà il benvenuto, fortunatamente a braccia aperte ma non tanto da rendersi facile da superare.
Qui io propongo di fermarci 5 minuti per riprendere fiato e schiarire un po’ la mente, ormai annebbiata dalla scarsità di ossigeno.
Così da non rischiare di arrivare barcollanti sulla crestina sommitale, che pur essendo molto corta rimane comunque esposta, e non voglio prendere rischi inutili visto che ormai mi sento responsabile per entrambi.
UN PASSAGGIO ESPOSTO
Mangio una barretta Isostar alla banana e mando giù un gel accompagnato da una buona quantità d’acqua carica di elettroliti per prepararmi all’ultima fase della nostra ascensione al Corno, costituita da una rampa di neve e ghiaccio di circa 30 metri, e seguita infine da una piccola cresta esposta che conduce alla vetta a 4321 metri. Da qui il grado di difficoltà PD+.
Quindi tolgo i nodi frenanti dalla corda e allungo la cordata fino a circa 20 metri, così da poterci muovere separatamente sul tratto più ripido, visto che è in parte ghiacciato, soprattutto perché Simone è affaticato e afferma di avere poca dimestichezza con il ghiaccio, che è invece il mio terreno preferito insieme alla buona neve compatta. Lui decide di lasciare lo zaino con tutto il superfluo sotto la rampa. Io per comodità me lo tengo in spalla come mi piace fare, e poi non si sa mai che cosa può capitare, specialmente in montagna.
Per sicurezza mi faccio dare la seconda vite da ghiaccio che gli ho prestato per il ghiacciaio, ci diamo un “fist bump” e parto per la parte più attesa, percorro i primi 20 metri molto velocemente senza fermarmi, alternando una camminata a leggera scalata con la piccozza, trovo un abalakov con cordino che sembra in buono stato e ci pesto dentro un rinvio per un pizzico di sicurezza, dopodiché mi porto in cresta, seguito da Simone.
Qui trovo una sosta e mi ci lego con un barcaiolo, intanto assicuro il mio compare con un mezzo barcaiolo sul largo moschettone nuovo fiammante che ho portato.
In cresta tira un ventaccio e fa molto freddo, la temperatura percepita deve aggirarsi attorno ai -15 gradi.
Quando arriva in sosta (qualche pezzo di corda e fettucce con 2 maglie rapide) gli consiglio di legarsi a sua volta a quest’ultima e senza indugio mi dirigo verso la madonna.
Deciso a restare sul filo in poco tempo raggiungo il punto più alto, sto per scendere il piccolo salto di roccia di un paio di metri per poi risalire alla madonna della vetta ma sento un ronzio elettrico, l’atmosfera è letteralmente elettrizzante a questo punto. In questa situazione non so come comportarmi, intuisco però che che è meglio non avvicinarsi troppo alla madonna che essendo di metallo certamente attira le folgori più della mia carne.
L’ARRIVO IN VETTA E LA SODDISFAZIONE
Sono contento lo stesso visto che mi sembra di essere più in alto o almeno alla stessa altezza della madonna; quindi, estraggo il telefono dallo zaino e scatto un paio di foto sulla mia poltrona di roccia e poi torno indietro, fa parecchio freddo ed è meglio scendere in fretta visto che sembreremmo trovarci sul nascere di un qualche fulmine.
Simone percorre attentamente la crestina e torna indietro subito dopo. Intanto io ho già iniziato a preparare la nostra via di fuga, passo il mio capo della corda nella maglia rapida e la faccio scorrere fino a metà, dopodiché preparo il fidato riverso sulle corde per calarmi.
Simone non voleva fare la calata per non prendere ancora freddo penso, anche se è stato lui che mi ha chiesto di portare la corda da 60 metri che pesa circa il doppio della solita da ghiacciaio.
Quindi visto che la corda è stata scarrozzata fino a 4300 e passa metri, decido di usarla visto che comunque sia la rampa ha un’inclinazione di 50 gradi e oggi è abbastanza ghiacciata.
Prima di calarci ci accorgiamo che il lato esposto al vento della mia faccia è completamente ghiacciato e quindi scattiamo qualche fotografia, dopodiché tra una risata e l’altra mi precipito giù fino in fondo alla corda, quindi grido a Simone che può scendere e comincio a legare nuovamente il mio capo della corda all’imbrago.
Non appena si stacca dalla corda mi riaccollo i miei quasi 25 metri di corda e mangio ancora qualcosa. Sono le 13:25 circa.
Cominciamo la discesa più veloce che in fretta per andare a prendere la funivia, anche se secondo me abbiamo tutto il tempo del mondo.
SULLA CIMA DEL BALMENHORN
In men che non si dica ci troviamo di nuovo sotto al Cristo delle Vette (Balmenhorn), Simone non vuole salirci; quindi, mi slego la corda e salgo la piccola via ferrata che mi porta in cima a salutare la statua di Gesù con una grande bandiera italiana legata a sé, non sono molto credente ma in questo caso devo ammettere che la statua fa la sua sporca figura.
Poi vado velocemente a dare un’occhiata al bivacco del CAI, scambio due parole con 2 ragazzi che passeranno lì la notte prima di partire per la traversata dei Lyskamm.
Penso tra me e me che mi unirei volentieri a loro, ma ovviamente sono in cordata con Simone e andrò fino in fondo con lui.
Quindi mi precipito giù dai pioli di ferro del Balmenhorn, operazione che in discesa mi richiede un pelo di attenzione visto che indosso ancora i ramponi.
Mi rilego rapidamente e ripartiamo verso il colle Vincent, facendo un po’ meno fatica ad individuare la traccia, visto che Simone ha rallentato gli cedo la testa della cordata, ma ogni volta che ci fermiamo Simone ripete che ha fretta di scendere; quindi, poco più in basso attorno alla linea dei 4000 riprendo io le redini della nostra discesa.
DISCESA MOLTO VELOCE
Un po’ scocciato mi precipito giù dai pendii, saltando 4 o 5 bei crepacci e attraversando velocemente la zona subito sotto la Piramide Vincent, poiché una gran bella seraccata di dimensioni ragguardevoli, aspetta un agguato sopra le nostre teste.
In men che non si dica siamo fuori pericolo e proseguiamo la discesa, la nebbia si dirada progressivamente e cominciamo a vedere il Lyskamm con la sua lunghissima e affilata cresta, chiamata da alcuni “mangiatrice di uomini”, teatro purtroppo di numerosi tragici incidenti varie cordate sono infatti scivolate dalla cresta in seguito a crolli di cornici nel corso degli anni…
Raggiungiamo presto il rifugio Gnifetti, questa volta però andiamo fino alla roccia e ci sleghiamo solo una volta scesi dal ghiacciaio.
Non sono nemmeno le 3 quindi da qui ci prenderemo molto tempo e scenderemo con calma (o quasi), anche Simone si è calmato con un po’ di ossigeno in più.
Metto la corda nello zaino e mi tolgo il guscio, partiamo quindi per la breve discesa che ci attende, il salto di roccia con le corde fisse è molto trafficato, per questo motivo mi fiondo giù dai punti più ripidi utilizzando molto i canaponi per velocizzare.
Mi fermo qualche volta per lasciar passare le decine di alpinisti che salgono ai rifugi, e per aspettare Simone che sta andando decisamente più lento.
A un certo punto sul traverso roccioso incontro un ragazzo che ho conosciuto qualche settimana prima sul Piz Palü, quello che mi aveva scattato le fotografie di vetta. Questa volta ci fermiamo qualche minuto a parlare e mi spiega il giro che farà l’indomani. Alla fine, ci scambiamo gli Instagram e ci salutiamo, tocchiamo nuovamente ghiaccio dopo pochi minuti sul Ghiacciaio d’Indren, lo attraversiamo molto rapidamente, lo strato superiore ha cominciato a sciogliersi un pochino per via delle temperature in leggero aumento nel corso della giornata.
Visto che qui il percorso è piatto, mi faccio prendere la mano e comincio a corricchiare, a pochi metri dalla fine del ghiaccio pianto un bello scivolone, e tocco poco delicatamente terra con il sedere, proprio davanti a un gruppo di italiani che stanno salendo.
Poco male, mi faccio una risata e raggiungo la morena, dove aspetto Simone e mi congratulo con lui per la giornata, soprattutto per il suo primo 4000, un inizio in grande stile direi!
L’ARRIVO ALLA FUNIVIA E IL RIENTRO
Arrivati alla funivia stop all’attività sul garmin, in tutto abbiamo impiegato 7 ore e 32 minuti a fare tutto il giro, con circa 1h30min di pause varie, non male.
Constato che avremmo potuto salire anche la Piramide Vincent, visto che sono solo le 3 e 45, quindi avremmo avuto ancora 1 ora, più un’altra oretta buona che abbiamo speso in pause nella discesa.
In totale abbiamo fatto circa 1130 metri di dislivello positivo, il mio orologio dice che abbiamo percorso 14 km ma mi sembra decisamente esagerato, probabilmente oggi non era in forma nemmeno lui.
In ogni caso sono molto soddisfatto della giornata, mi piace ogni tanto combattere un po’ con le condizioni, soprattutto quando poi tutto funziona e si riesce a compiere l’impresa (l’unica eccezione sono i temporali che fortunatamente oggi hanno desistito).
Vado fiero soprattutto dell’ultima parte, dove abbiamo cominciato entrambi a sentire l’altitudine e ci siamo spinti in su, nonostante la nebbia, il vento, in freddo e la neve fresca.
Io in particolare ho avuto anche un bel po’ di freddo ai piedi, i miei scarponi leggeri con calze leggere mi fanno patire il freddo non appena entrano nella neve e nel ghiaccio, ma per giri come questo solitamente sono ideali in quanto leggeri e agili.
Dopo un’oretta complessiva di attesa per le funivie e altri circa 40 minuti per la discesa vera e propria arriviamo alle macchine circa alle 17 e 45.
UNA SERATA ANCORA LUNGA…
Io e Simone ci salutiamo, e io mi dirigo (sbagliando pure strada un paio di volte visto che non ho il navigatore) a Cannobio, dove l’amico Ettore e le nostre rispettive morose già ci attendono a tavola, in quel dannato ristorante all you can eat di sushi che tanto disprezzo.
Arrivo a tavola alle 21 circa, non ho nemmeno troppa fame e mi sforzo di mandar giù un po’ di roba. Come sempre finisco per ordinare troppo cibo che non apprezzo nemmeno molto, avrei decisamente preferito una pizza o un piatto di pasta. Per oggi però va benissimo così. Poi andiamo a casa e dopo una doccia veloce riparto con Ettore per andare in Rotonda a Locarno dato che in questi giorni c’è il famoso festival del film, un po’ come facevamo prima che mi dedicassi completamente alle montagne nei weekend, ma questa volta speriamo senza quegli eccessi di bevande che caratterizzavano le nostre uscite.
La giornata finisce alle 4 di mattina, questa serata potevo decisamente risparmiarmela, però di tanto in tanto mi lascio ancora trascinare, per rivedere amici che altrimenti non vedrei mai.
QUELLO CON IL MONTE ROSA È SOLO UN… ARRIVEDERCI
Concludo constatando che la mia storia con il Monte Rosa non è che appena iniziata, la mia mente si sta già arrampicando fin là in alto, sulla cresta tra la punta Zumstein e la Punta Dufour, che con i suoi 4634 metri svetta sul massiccio del Monte Rosa, superata in altezza nell’arco alpino solo dal Monte Bianco, che di metri ne vanta 4808.
E poi, per via della nebbia (che avrebbe dovuto lasciar spazio al sole a partire dalle 9 circa, ma è rimasta fino al nostro ritorno al Gnifetti) non abbiamo visto assolutamente nulla; quindi, come minimo dovrò tornare per godermi il panorama che questa volta non mi è stato concesso, ma in particolare sono ansioso di avventurarmi sulla punta Dufour e magari perché no, anche sulla sua vicina Nordend.
Leggi anche: L’ascesa al Lagginhorn (4010 m) lungo la via normale







