La scalata del Piz Palü (3900 m) lungo la ‘via normale’

Questa volta il giovane alpinista ticinese Matteo Campanella (ormai mio ex allievo) ci racconta la sua appassionante scalata del  Piz Palü, una delle montagne più belle dell’Engadina e naturalmente una delle cime che non possono mancare nel carnet di ogni alpinista.

Sabato 12 luglio, la sveglia suona presto: alle 3:45 salto fuori dal letto pronto per una nuova avventura; pochi giorni fa su un’applicazione per la ricerca di compagni alpinisti, ho conosciuto un ragazzo di Monaco di Baviera, Stephan.

Piz Palü al posto del Bernina

Entrambi cercavamo un compagno per scalare il Piz Bernina, via la Biancograt, una delle vie più sceniche del massiccio del Bernina. Purtroppo a causa del maltempo dobbiamo rimandare, quindi io propongo a Stephan di scalare il Piz Palü una montagna  vicina al Bernina, leggermente più bassa, 3900 m contro i 4048 m del Bernina.

Ci accordiamo sul materiale, io porto la corda da ghiacciaio leggera da 40 metri, 2 viti da ghiaccio a testa e l’equipaggiamento classico  per recupero da crepaccio.

In funivia verso Diavolezza

Il punto di incontro è il parcheggio della funivia che porta alla Diavolezza, sul passo del Bernina. Alle 4:30 salgo in auto e parto verso l’Engadina.Mi fermo brevemente a Thusis a comprare un energy drink e una brioche per arrivare bello pimpante.

Arrivo al parcheggio della funivia alle 07:50 mi preparo, mangio un paio di barrette e mi avvio con Stephan verso la funivia.

Alle 8:20 la funivia parte verso Diavolezza, io approfitto del tempo morto per spalmarmi la fidata crema 50+.

La scalata per la “via normale”

Appena arrivati e usciti dalla porta dello stabile della funivia, possiamo vedere l’imponente PizPalü, con le sue enormi seraccate, sovrastate dalle 3 vette. La parete nord mi appare selvaggia, un giorno tornerò sicuramente a scalarla penso tra me e me.

Per oggi però ci limitiamo alla “via normale”, anche perché sono passate 2 settimane dall’ultima uscita, per entrambi. Quindi l’altitudine si farà sentire.

Partiamo alle 08:45 da Diavolezza (3002 m) inizialmente percorriamo un sentiero marcato blu bianco, che attraversa prima la piccola costa rocciosa del Sass Queder, poco dopo la traccia si distacca dal sentiero vero e proprio che porta al Piz Trovat e continua sulla sinistra, costeggiando quest’ultimo.

Le imbracature e… via!

Dopo circa mezz’ora raggiungiamo la FuorclaTrovat, da qui si prosegue in discesa per pochi metri e si arriva al ghiacciaio. Qui indossiamo le imbracature, i ramponi e ci leghiamo in cordata. 

E via! La nostra avventura inizia qui, attraversiamo interamente il primo tratto dighiacciaio  che in leggera discesa ci porta alla base della nostra salita vera e propria.

Sulla sinistra si vede un’enorme seraccata, a valle del Piz Cambrena, sentiamo  subito il primo distacco della giornata.

Cominciamo a salire i pendii glaciali su firn, serpeggiando tra i crepacci e i seracchi,  ammiro la grandezza dell’ambiente circostante.

Proseguiamo con cautela, tenendo sotto controllo i battiti.

Questo perché non essendoci acclimatati per niente, è importante non sovraccaricare il nostro organismo che ancora non si è adattato alla scarsità d’ossigeno, quindi cerco di stare sotto i 160 bpm per tutta la salita. Personalmente l’altitudine non la reggo molto bene, quindi mi occorre fare attenzione.

L’altitudine comincia a farsi sentire…

Verso i 3400 metri comincio a sentire l’altitudine, continuo a idratarmi rigorosamente grazie alla cannuccia del camelbak e punto alla sella che ci porterà in cresta. Dopo 2 ore e mezza di salita su pendii parecchio sostenuti (con solo 2 tratti un po’ pianeggianti per prendere fiato), arriviamo ad un piccolo spiazzo meno ripido appena prima della cresta. Qui ci fermiamo per una barretta e un powergel, decidiamo di indossare i gusci, perché si sta alzando il vento, e noi stiamo per portarci in cresta dove pensiamo di trovare vento più forte. 

Inizia la parte più difficile

Siamo a 3700 metri circa, manca poco alla vetta, ma siamo consapevoli che sarà la parte più difficile, soprattutto perché io sto cominciando ad avere i primi sintomi del mal di montagna, ho mal di testa e le gambe si appesantiscono.

Stephan mi chiede se non voglio tornare indietro, ma io dico che sono sicuro di farcela, un passo alla volta, dopotutto sono solo 200 metri.

Dopo 5 minuti scarsi, ci lanciamo verso la vetta sulla ripida cresta nevosa, che sta cominciando a sciogliersi per via dell’orario, io comincio ad essere in difficoltà, questa volta l’altitudine non mi risparmia. Procediamo a rilento, io devo fermarmi spesso per qualche secondo a  prender fiato, per evitare di far salire troppo i battiti. Però stringo i denti e continuo a salire con costanza, utilizzo la piccozza per aiutarmi.

Sulla cresta sommitale

Dopo mezz’ora circa siamo quasi arrivati, il tratto ripido è finito e ci troviamo sull’affilata e spettacolare cresta nevosa sommitale della cima ovest. Ormai vediamo la cima, percorriamo quest’ultimo tratto velocemente, e alle 12:40 arriviamo in vetta (cima ovest, ovvero la prima che si incontra salendo dalla via normale), il garmin indica 3 ore e 27 minuti di movimento effettivo.

Il panorama è stupendo, ma dura poco, non facciamo in tempo a scattare le fotografie di rito prima che arrivino le nuvole.

Una coppia di alpinisti italiani ci chiede qualche scatto, e dopo ricambia il favore (come sempre in cima alle montagne le foto sono pessime per via dello sforzo appena compiuto). 

La discesa richiede attenzione

Dopo altri 15 minuti cominciamo la discesa, io sono molto soddisfatto dal mio comportamento, con passo costante ma sostenuto sono riuscito ad arrivare in cima anche se l’altitudine mi ha giocato un brutto scherzo (in cima faccio una misura col pulsossimetro, indica 85%).

La prima parte della discesa sulla parte ripida della cresta richiede attenzione, la neve è diventata granita e si scivola parecchio, anche coi ramponi.

La percorriamo con la dovuta cautela, una volta raggiunto il punto dove avevamo messo la giacca possiamo rilassarci un pochino, mangiamo una barretta e poi ripartiamo a passo spedito verso il basso, tagliamo quasi tutti gli zigzag della salita (tranne quelli che evitano i crepacci e seracchi più grandi), così raggiungiamo in 1 ora e 15 il piano del ghiacciaio.

Una grande soddisfazione!

Attraversiamo quest’ultimo, non appena arrivati sulla “terra ferma” togliamo i ramponi e ci sleghiamo, da qui in 45 minuti raggiungiamo la funivia alle 15:30. Ci rammarichiamo di non essere andati alla cima centrale, avendo a disposizione quasi 2 ore, avremmo potuto farcela benissimo. 

Ma Stephan mi ricorda che quando saliremo il Bernina dalla Biancograt, per scendere potremo percorrere integralmente la cresta del Palü per tornare a Diavolezza.

Arrivato alla macchina sono molto contento della giornata, in tutto 1250 metri di dislivello su 13 km circa, considerando l’altitudine (punto più alto 3890 m) e l’aver dormito a casa, guidando 3 ore e mezza prima di iniziare la salita sono soddisfatto della prestazione.

Inoltre la via di salita si è dimostrata molto bella e ingaggiante, con parecchi tratti ripidi e panorami sempre mozzafiato.

Alla prossima Piz Palü, e arriviamo Piz Bernina!

Una risposta

  1. Complimenti Matteo! Se si considera che sei partito da Cavigliano, praticamente nel punto più basso della Svizzera, senza la possibilità di acclimatarsi è davvero un’impresa non da poco! A presto, aspettiamo con interesse il tuo racconto sul Bernina! 🙂

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