LA SCALATA IN SOLITARIA DEL CERVINO (4478 M) LUNGO LA VIA NORMALE

Javad è un mio ex allievo che da qualche anno si è appassionato di alpinismo. Ancora giovane ma con un fisico molto atletico ha affrontato diverse scalate sulle montagne ticinesi dimostrando grande dimestichezza anche su passaggi “complicati”. Il suo ultimo grande traguardo è stata la scalata del “mitico” Cervino. Un’avventura non facile ma che fortunatamente è finita bene! 

Ricordo ancora le parole di una guida alpina alla Hörnlihütte:

«Molti arrivano qui dopo aver scalato il Monte Bianco… ma non capiscono che il Cervino è un’arrampicata vera.»

Parole che mi sarebbero tornate in mente molte volte, durante quella scalata che, pur nata un po’ per caso e forse con qualche rischio, mi avrebbe regalato emozioni immense.

L’idea iniziale

Con il mio amico non avevamo in programma di salire il Cervino. L’idea era semplice: bivaccare nella zona di Zermatt.

Ma conoscendomi, ero partito attrezzato: non si sa mai.

Il 2 agosto, con 22 chili di zaino, arriviamo a Zermatt alle 20:30. La prima notte la passiamo a 1.800 metri, sotto il sentiero per lo Schwarzsee.

Il giorno dopo giriamo i laghi ai piedi del Cervino. Qualcosa dentro di me cambia. Quella montagna mi guarda e capisco che non posso resistere: devo provarci.

Verso la Hörnlihütte

Il 4 agosto saliamo alla Hörnlihütte, 3.260 metri, il rifugio storico del Club Alpino Svizzero. Dopo pranzo e lasciato il peso degli zaini, tentiamo subito un assaggio della via normale. Non conosciamo il percorso: prudenza massima. Qui, basta sbagliare direzione per ritrovarsi sotto una parete di 50 metri senza via d’uscita.

Raggiungiamo quota 3.600 e torniamo al rifugio. Il mio compagno decide di rinunciare e scende allo Schwarzsee.

Resto solo. Passo il pomeriggio a guardare il Cervino, ammirandolo in silenzio. Nel frattempo rientrano alcuni alpinisti con una notizia terribile: un solitario è precipitato dalla parete nord-est a 4.100 metri. Il giorno dopo arriverà la conferma: non ce l’ha fatta.

Mi prende un nodo allo stomaco. Anch’io voglio salire da solo. So che sarà difficile, ma mi conosco: ho esperienza e condizione fisica per provarci.

Il grande giorno

5 agosto. Sveglia alle 3:40, colazione veloce, si parte alle 4:30.

Mi metto in fondo alla colonna di chi tenta la cima oggi: davanti le guide locali con i clienti, poi quelle esterne, infine noi, alpinisti indipendenti.

Non conoscendo il percorso, decido di seguire una guida. Loro però volano sull’arrampicata. Fortunatamente, le scarpe leggere da avvicinamento mi danno velocità e riesco a superare diversi alpinisti, fino ad agganciarmi al ritmo di una guida con il suo cliente.

Il Cervino non è una passeggiata. Qui si arrampica sempre, di terzo e quarto grado.

Alle 5:30 ho già guadagnato 250 metri. Il sole nasce dietro le montagne, tingendo tutto d’arancione. È magnifico.

Alle 6:09, quasi a 3.800 metri, il terreno si fa insidioso per neve e ghiaccio. Alle 6:48, dopo una parete di 6 metri di quarto grado, arrivo alla Solvayhütte, 4.000 metri. Pausa di cinque minuti, poi si riparte.

La parte più esposta

Dopo il bivacco capisco perché tanti pagano 2.000 franchi per una guida. La cresta è stretta, esposta su entrambi i lati. Un passo falso, un sasso che cede, e ti ritrovi 500 metri più giù sul ghiacciaio.

Non faccio foto: qui ogni movimento deve essere preciso.

Dopo un centinaio di metri iniziano le corde fisse, che portano fino a 4.330 metri, su pendenze dal 40 al 90%.

Poi… fine corde.

Davanti: 50 metri di ghiaccio puro, inclinati a 45 gradi.

Il cuore accelera. “Torna indietro, Javad. Sei da solo, non è per te.”

Faccio due passi verso il basso, quando una guida alle mie spalle mi ferma:

— «Dove vai?»

— «Giù… è troppo.»

— «Sei venuto fino qui e adesso torni? Avanti, passo dopo passo. Pianta bene i ramponi.»

Riprendo. Respiro. Colpo di piccozza, passo, rampone ben piantato. L’aria è sottile, il vento gelido, le gambe pesano. Il mal di testa è feroce.

La cima

Supero la parete. La guida sorride: «Bravo! Ora la parte facile.»

Zig-zag su neve e ghiaccio. Appare la struttura di San Benedetto. La tocco, come porta fortuna.

La cresta, un ultimo passo… e sono in vetta. Foto, video, un momento di gioia. Ma so che la vera sfida è appena iniziata: la discesa.

Ritrovo la parete di ghiaccio, ora resa più insidiosa dal sole. Ogni passo può tradire. Con tre alpinisti sloveni scendo piano, concentrato, fino all’ultimo pendio.

Alle 15:30 rimetto piede sul sentiero verso la Hörnlihütte.

È stata una giornata piena di tensione e bellezza.

Il mal di testa mi impedisce di festeggiare, ma due Dafalgan e una birra ghiacciata bastano per sorridere: oggi ho conquistato il Cervino!

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