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L’insegnamento del dottor Enrico Arcelli

Ci sono persone che nel corso della loro vita e della loro attività lasciano un segno. Concreto, vero, effettivo. Utile per tutti. Grazie alle loro parole, alle loro intuizioni. Grazie ai loro scritti. A volte non ci pensiamo nemmeno. Ma cose che oggi ci sembrano quasi normali, una volta, magari anche solo vent’anni fa, non lo erano. C’è voluto qualcuno che, a un certo punto, ce ne mostrasse la presenza e la necessità.

Enrico Arcelli, di cui ricorre il secondo anno dalla scomparsa il prossimo 30 giugno, è una di queste persone. Il segno, lui, l’ha lasciato nel campo dello sport e soprattutto nelle discipline della resistenza. Lo ha fatto in particolare con un  libro che è diventato un best seller: si intitola “Correre è bello”. Un titolo in cui c’è già tutto un universo di significati.

Prima di lui lo sport e la corsa erano altro. Si correva soprattutto per competere, per gareggiare. Non esistevano altri significati. Correre solo “perché è bello” non aveva senso. Poi, però, ecco quelle frasi introduttive al suo libro, pensieri folgoranti che hanno permesso a moltissimi di dare un nuovo senso e un diverso significato alla pratica sportiva:

Quando un individuo sedentario vede passare per la strada un corridore che si sta allenando, stanco e sudato, o uno che sta facendo una prova podistica e magari è molto in ritardo rispetto ai primi e dimostra chiaramente di fare molta fatica, talvolta lo compatisce e lo considera più o meno un masochista: la frase che dice (o pensa) è di solito: “Poveretto! Ma chi glielo fa fare?”.

Per il podista, invece, la corsa è bella.

Una volta, mentre mi stavo riscaldando per partecipare a una prova non competitiva, incontrai un tale che si preparava anch’egli a correre e che già conoscevo perché dipendente della fabbrica presso la quale faccio il medico: chiacchierammo un po’ e seppi che oramai da più di due mesi andava a correre tutte le domeniche mattina. Gli chiesi allora cosa ne pensasse sua moglie di questa nuova attività e la frase che mi rispose fu secondo me molto significativa: “Lavoro duro tutta la settimana: oltre otto ore in stabilimento, aiuto mio cognato in negozio e coltivo l’orto. Perciò ho diritto di divertirmi la domenica mattina”.

La ragione principale per la quale molti corrono è proprio questa: che a loro piace. A loro piace perché mentre corrono si sentono vivi, sentono che il loro corpo funziona: perché nei periodi in cui corrono avvertono un benessere generale e un’efficienza che prima, quando non facevano attività fisica neanche sognavano; perché si sentono leggeri, con la mente più sveglia e l’umore più allegro e sereno.

Io non fumo, ma credo che chi si accende una sigaretta e se la mette in bocca lo fa semplicemente perché, al momento, fumare gli piace: non si preoccupa per niente degli effetti nocivi che il fumo ha a lunga o lunghissima scadenza: semmai riduce il numero di sigarette soltanto se in un certo periodo si accorge di avere più catarro del solito.

Penso che per la maggior parte dei podisti valga lo stesso principio: corrono perché una volta che hanno superato il primo impatto (quello dei piedi pieni di vesciche e dei  muscoli duri e dolenti), la corsa dà loro sensazioni molto piacevoli. A molti non importa affatto di sapere che il correre serve a prevenire certe malattie: al massimo queste informazioni le usano per spiegare come mai corrono agli altri, a quelli che chiedono: “Ma chi te lo fa fare?”. La ragione per la quale corrono, la vera e principale ragione, forse l’unica, è che correre è bello”.

Sono passati quasi quarant’anni da quando il dottor Arcelli scrisse queste parole. Da allora molte cose sono cambiate. Oggi, chi corre e fa jogging sulla strada non è più guardato come se fosse un “alieno”, ma forse produce l’effetto opposto, ovvero quello di essere un po’ invidiato. La gente ha ormai capito che fare sport e movimento è un “toccasana”, una vera fonte di benessere e piacere.

Certo, resta ancora parecchio da fare sulla via della realizzazione completa del concetto di sport per salute. Anche da noi, dove gli eccessi sono spesso frequenti, con risvolti controproducenti proprio sul benessere e la salute. Non c’è, insomma, ancora una pratica davvero corretta e salutistica, prevalendo approcci sovente pericolosi perché estremi. Ma anche qui ci stiamo avvicinando, piano piano, a una pratica più corretta e sensata. E per questo dobbiamo ringraziare il dottor Enrico Arcelli e quel suo “Correre è bello” che ci ha indicato una via e tanto ci ha ispirato in questi anni.

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