Il mattino a St. Moritz è fresco, limpido, con l’aria che profuma di pini e roccia umida. Le prime luci sfiorano il lago come dita leggere, mentre le cime alpine si tingono d’oro e arancio. Il paese è ancora silenzioso, ma già si percepisce un fremito, una tensione leggera che sale insieme alla luce. È il giorno del Vertical del Piz Nair.
Non sono qui per correre, ma per salire a piedi, passo dopo passo, lungo il tracciato che porta al Piz Nair. Voglio seguire i partecipanti, sentirne il ritmo, la fatica, l’energia che trasforma la montagna in sfida viva.
Il sentiero si stacca poco sopra il villaggio e si infila subito tra i larici e gli abeti. Cammino in silenzio, il rumore dei bastoncini è l’unico accompagnamento, un suono ritmico che si fonde con il battito accelerato del cuore. Attorno a me, altri escursionisti condividono la stessa direzione, alcuni con lo sguardo puntato in alto, altri con gli occhi bassi, concentrati sul respiro.
Il bosco si dirada e il sentiero si impenna. Le gambe iniziano a bruciare, ma la vista si apre: alle spalle, il lago di St. Moritz diventa una macchia di turchese tra i boschi; davanti, i primi tratti di pietraia annunciano l’alta quota. I corridori mi superano come saette, con il corpo proteso in avanti, i muscoli tesi, il viso scavato. Alcuni salutano, altri hanno lo sguardo fisso, assorto nella battaglia personale contro la salita.
Raggiungo Corviglia. Qui, l’atmosfera cambia: ci sono voci, qualche incitamento, fotografi, aria sottile e luce fortissima. Qualcuno si ferma a bere, altri continuano senza voltarsi. Io riprendo fiato solo un momento, poi proseguo. La vetta è ancora lontana, ma la traccia ora è chiara: una serpentina incisa nella montagna, che sale decisa verso il cielo.
La salita si fa seria. La vegetazione sparisce, resta solo la roccia. Ogni passo è un piccolo atto di volontà. Respiro profondamente, le mani aiutano nei tratti più ripidi, lo sguardo cerca lo stambecco del Piz Nair, che a tratti compare tra le nubi basse e il sole che filtra. Il silenzio è quasi totale, rotto solo dai respiri affannati, dal fruscio delle scarpe sulla ghiaia, dal grido occasionale di una marmotta.
Quando arrivo in cima, il mondo cambia. Il cielo è vasto, il vento tagliente. Mi fermo, guardo. Davanti a me, le cime del Bernina, le valli profonde, i ghiacciai lontani. I corridori tagliano il traguardo con gli occhi lucidi, qualcuno si accascia, qualcuno grida. Io sorrido.
Non ho corso, ma ho condiviso la stessa salita. Ho sentito la montagna respirare sotto i miei piedi. Ho sentito cosa significa guadagnarsi ogni metro. Ed è abbastanza.