In Svizzera ci sono 48 montagne che superano i 4000 metri di altezza. La maggior parte, 41 per la precisione, si trova nelle Alpi vallesane. Uno di questi è il Lagginhorn che svetta a 4010 m di altitudine e che è stato scalato la prima volta il 26 agosto 1856. Recentemente la sua cima è stata raggiunta anche dall’alpinista ticinese Matteo Campanella. Ecco il racconto (come sempre bello e “vissuto”) della sua scalata.
È domenica 13 luglio, vengo contattato da Andrew, un signore con cui ho salito il mio primo 4000 qualche settimana fa, mi chiede se sarei interessato ad unirmi a un gruppo di altre 3 persone per scalare il Lagginhorn sabato 19 luglio.
Do un’occhiata alla via e alle descrizioni e dopo poco confermo la mia presenza.
Si decide di anticipare la scalata
Nel corso della settimana, però, le previsioni meteo peggiorano progressivamente, fino ad arrivare giovedì pomeriggio ad annunciare temporali alle 9 del mattino di sabato. A questo punto 2 membri della cordata rinunciano, quindi rimaniamo solo io e Andrew.
Io quindi propongo al compagno di anticipare la scalata a venerdì, anche se questo purtroppo significherebbe non poter dormire nella capanna a 3000 metri prima di iniziare la salita (un’ottima occasione per acclimatarsi prima di salire). Il che probabilmente peggiorerà le nostre performance, però siamo determinati a tentare; quindi, decidiamo di fare la salita in giornata l’indomani.
La sveglia suona presto…
Anche oggi, venerdì, la sveglia suona presto, alle 4 mi alzo per fare colazione e controllare un’ultima volta i 2 zaini che mi accompagneranno nell’avventura di questo weekend.
Mangio qualche fetta di pizza avanzata dalla sera prima (preparata per fare “il pieno” di carboidrati in vista della lunga giornata) e parto verso il Vallese alle 4:45, alle 7 arrivo in stazione a Visp, dove Andrew sta per arrivare con il primo treno da Berna, perché la moglie ha insistito per tenere la macchina.
Alle 7:10 partiamo verso Saas Grund, dove prenderemo gli impianti di risalita che ci porteranno a Hohsaas (3140 m).
Prenotazione alla capanna
Qui si trova anche una capanna, dove abbiamo prenotato per la notte, anticipando un rientro tardivo dalla montagna. Andrew è convinto che ci metteremo al massimo 6 ore a salire e scendere, io invece mi aspetto più una decina di ore. Questo perché non so come lui si muove sulla roccia; quindi, sospetto che abbia sottovalutato la cosa.
Andrew insiste per non portare nemmeno una corda, io non mi oppongo in quanto mi sento sicuro, e la via normale del Lagginhorn non presenta difficoltà superiori al secondo grado di arrampicata UIAA. Quindi alle 8:40 circa lasciamo la corda in capanna, con i pochi bagagli per la notte, e partiamo verso la cima di oggi.
La parte iniziale dell’ascesa
Inizialmente scendiamo per un centinaio di metri su strada; poi su sentiero, che incontra il contrafforte più a sud del Lagginhorn. Da qui si procede dapprima aiutandosi con qualche cavo d’acciaio per la prima parte, poi si scavalca la cresta con dei facili passaggi d’arrampicata alternati a un sentiero ripido e un po’ scivoloso, questo primo tratto è subito esposto e richiede un po’ di attenzione. Una volta superato questo primo ostacolo ci troviamo nella conca del Lagginhorn, dove si possono vedere i resti dell’omonimo ghiacciaio.
Attraversiamo quest’ultimo velocemente con ramponi, perché si trova direttamente sotto alla parete ovest, nota per le scariche di massi, una volta arrivato all’altro contrafforte, dalla parte opposta della conca, aspetto Andrew e mangio una barretta. Mi raggiunge dopo circa 10 minuti, anche lui si prepara e così attacchiamo la lunga cresta.
Un passaggio difficile di secondo grado
Da 3400 a circa 3650 metri si alternano facili e brevi passaggi di arrampicata a semplice camminata che richiede l’uso delle mani per superare massi e placchette.
L’unico passaggio “difficile” è una placca di secondo grado, lunga tra i 15 e i 20 metri, la si supera senza difficoltà facendo attenzione a non scivolare.
A circa 3650 metri incontriamo una placconata, la maggior parte dei team la evitano sulla destra(passando per ghiaccio e neve); io consiglio a Andrew di fare altrettanto, decido però di arrampicarmi sulle placche per una settantina di metri di dislivello, per non dover indossare i ramponi, che mi farebbero perdere tempo.
Una volta superate le placche, mi fermo per mettere i ramponi. Questo perché a circa 3700 metri, cominciano i nevai, e da qui via diventerebbe molto poco pratico tentare di evitarli.
Aspetto Andrew che arriva dopo qualche minuto e mette a sua volta i ramponi. Mangiamo qualcosa e ci lanciamo verso la vetta.
La tratta finale verso la vetta
Il mio compare purtroppo non ha molta confidenza con la neve e il ghiaccio, questo assieme all’altitudine fa sì che rallenti significativamente; infatti, ogni 50 metri che salgo devo aspettarlo per una decina di minuti, dopo 3 volte decido di scendere da lui per dargli un po’ di supporto morale.
Quindi per gli ultimi 150 metri di dislivello continuo a spronarlo e dargli consigli sul come utilizzare al meglio il bastone e la piccozza per fare meno fatica a salire.
Una grande soddisfazione!
Dopo un’ora molto impegnativa per Andrew, ci troviamo sotto la vetta, le ultime decine di metri oggi sono di terreno misto, tra roccia neve e ghiaccio. Saliamo direttamente per la via più breve, io percorro l’ultimo tratto sul filo della cresta finale, arriviamo così in vetta alle 13:30, dopo circa 5 ore di salita.
Scattiamo le solite fotografie, io sono molto soddisfatto della giornata, mi sono sentito benissimo, nessun problema legato all’altitudine, e nei tratti in cui ho potuto proseguire senza fermarmi sopra i 3800 metri sono riuscito a mantenere un buon ritmo. Non sono nemmeno stanco, voglio assolutamente tornare da solo e vedere quanto tempo mi ci vorrebbe per compiere la salita per conto mio.
Una discesa con qualche imprevisto…
Ora però fa molto freddo, con il forte vento la temperatura percepita secondo me si aggira intorno ai -10 gradi. Quindi mangiamo una barretta e scendiamo subito dall’affollata vetta.
In discesa rassicuro Andrew nel ripercorrere i ripidi nevai (penso 35 gradi), impiegheremo quasi 2 ore per arrivare al punto dove togliere i ramponi, che per la discesa decido di tenere il più a lungo possibile, sfruttando la neve per scendere senza difficoltà.
Nel frattempo, mentre aspetto il mio compagno chiacchiero con due ragazzi di Ginevra, e gli presto i miei bastoni per scendere un po’ più in sicurezza visto che non hanno ramponi né piccozze.
Da qui senza quasi bisogno di disarrampicare, tranne per pochi passaggi, scendiamo tutta la cresta fino al punto di attacco della mattina, a circa 3400 metri.
Scendendo però sentiamo e vediamo entrambi rocce cadere dalla parete sul punto dove si attraversano i nevai. Io giudico pericoloso il passaggio, non voglio prendere rischi inutili per risparmiare 1 ora.
Quindi scendiamo la cresta quasi interamente, fino a quota 3000 metri circa, dove attraversiamo la vallata perdendo ancora un po’ di quota. A questo punto si sono fatte le 5 e mezza, Andrew quindi telefona al rifugio e avvisa che saremo in ritardo per la cena.
Risaliamo poi la valle fino al sentiero che questa mattina ci ha portati all’attraversamento del ghiacciaio. Andrew è preoccupato che la via non sia quella giusta; quindi, perdiamo un po’ di tempo scendendo lentamente la costa della cresta facendo fin troppa attenzione a non sbagliare strada, il che è molto difficile perché non vi è una sola via possibile.
In ogni caso alle 18:50 io vedo i cavi in acciaio della mattina, urlo a Andrew che può seguirmi, lo rassicuro sul fatto che sono certo della via, anche perché sto guardando da mezz’ora la traccia gps dell’andata.
Attraversiamo il punto attrezzato con cavi, e poi risaliamo i 100 metri di dislivello che ci separano dal rifugio, alle 19:20 fermo l’attività sul Garmin.
Si dorme in capanna…
Il giro, alla fine, è stato di circa 12 km e 1250 m di dislivello positivo, scegliere la sicurezza precorrendo la cresta integralmente ci è costato parecchio tempo.
Dopo dieci ore e quaranta minuti ci sediamo finalmente a fare cena.
Fortunatamente abbiamo deciso di non cancellare la prenotazione al rifugio, quindi la nostra giornata finisce qui.
In conclusione, una bella scalata, non difficile ma divertente. Occorre comunque prestare molta attenzione in quanto la roccia a tratti è malferma, ma soprattutto per via dell’esposizione che a tratti è particolarmente presente (passaggi quasi sempre aggirabili però).
Tornerò presto da solo per vedere quanto posso impiegare a fare il giro completo.
Leggi anche: La scalata al Piz Palü lungo la ‘via normale’; Ascensione al Pizzo Quadro da Cimalmotto; La scalata del Pizzo Gallina in Valle Bedretto; Il Pizzo Vogorno in solitaria





3 risposte
Bellissimo racconto, Matteo! Leggendo le tue imprese viene voglia di partire per queste montagne… chissà, una volta diventerai guida alpina (ti vedrei molto bene in questa veste) e ci porterai fin lassù. 🙂
Al prossimo 4000! 🙂
Ciao,
bel resoconto e complimenti per la salita. La “nuova” via normale evita l’attraversamento dei resti del ghiacciaio, proprio per il rischio di caduta sassi.
In pratica dalla capanna percorre la morena e poi tutta la cresta. Se aveste continuato di lì la discesa fino in fondo avreste risparmiato anche un po’ di tempo.
Al ritorno, abbiamo cercato la traccia indicata sul sito del cas (quella che intorno alla quota 3231 scende dalla cresta, indicata come nuova via normale da hohsaas) ma non avendola trovata abbiamo preferito scendere ancora fino a che non abbiamo trovato un passaggio più comodo per attraversare la valletta. Volevamo assolutamente risparmiare più metri di dislivello possibile per tornare alla capanna di hohsaas, quindi non abbiamo percorso il sentiero fino alla weissmieshütte (penso che tu intenda quello). Incredibilmente non abbiamo nemmeno potuto seguire gli altri, perché hanno preso tutti la vecchia via anche al ritorno, nonostante il frastuono dei massi che cadevano.