ENGADINA NEL CUORE: IL RACCONTO DI UNA VACANZA INDIMENTICABILE

Ci sono viaggi che si vivono unicamente con la macchina fotografica in mano, e altri che si portano dentro con il fiato corto, le gambe stanche e il cuore pieno. La mia vacanza in Engadina appartiene a questa seconda categoria: giorni in cui ho cercato sentieri, laghi e silenzi, e in cui ho trovato molto più di ciò che immaginavo.

Questa vacanza in Engadina è stata molto più di una semplice parentesi di giorni liberi: è stata un intreccio di passi, pedalate, respiri e silenzi che hanno dato ritmo alle mie giornate. Ogni mattina ho trovato un motivo nuovo per muovermi, per andare a cercare quella bellezza che qui non si nasconde mai, ma che sa sempre sorprenderti.

Ho camminato verso le capanne più belle, ognuna diversa, ognuna con la sua atmosfera particolare. I sentieri mi hanno portato tra boschi profumati di resina, pascoli silenziosi, ruscelli che sembravano parlare solo con chi aveva voglia di ascoltare. Arrivare in cima era ogni volta come aprire una finestra sul mondo: lo sguardo correva lontano, e insieme la mente trovava spazio e pace.

Ho corso lungo i laghi, lasciandomi guidare dal ritmo dei passi e dallo specchio dell’acqua che rifletteva le cime. Correre qui non era solo fatica, ma un modo per sentirmi parte di questo paesaggio, come se per un attimo la natura mi accogliesse e mi facesse spazio.

In bici ho affrontato l’Albula, con la sua salita che sembra non finire mai, fino alla stele di Gino Mäder. È stato un momento speciale: la durezza della strada che si mescola alla memoria, il respiro che si fa corto mentre il pensiero si allunga verso chi non c’è più.

E oggi, come ultimo gesto prima del ritorno, un’ultima corsa attorno al lago di Champfèr. Pochi chilometri, ma pieni di significato: l’acqua calma, l’aria frizzante, i colori limpidi del mattino. Era come dire “grazie” a questi luoghi, e anche un po’ a me stesso, per aver vissuto ogni istante con presenza e gratitudine.

Ora che chiudo questa vacanza, porto con me la sensazione di essere stato davvero sospeso tra cielo e monte. Non solo fisicamente, tra i sentieri e le cime, ma anche dentro: in quello spazio in cui ti senti leggero, vivo, e in equilibrio. L’Engadina mi ha regalato questo, e so che tornerà a chiamarmi.

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