Tour de France 2025: il mito corre, il cuore no

Parte il Tour de France, ma per me seguirlo sarà difficile. Il ciclismo di oggi ha perso gran parte della sua poesia: troppo controllato, troppo calcolato. Manca l’imprevisto, manca il sogno.

Il ciclismo professionistico moderno, pur rimanendo uno degli sport più affascinanti e drammatici per la sua durezza e il rapporto epico tra l’uomo e la natura, sembra aver smarrito gran parte della sua anima poetica. Ciò che un tempo era un racconto di eroi solitari sulle strade polverose, oggi è spesso un prodotto levigato, tecnologico, profondamente calcolato. Non mancano le emozioni, certo, ma il linguaggio con cui vengono espresse ha perso la sua liricità.

Il ciclismo degli anni d’oro — Coppi, Bartali, Anquetil, Merckx — era fatto di uomini contro il destino. Le tappe non erano solo segmenti cronometrati, erano viaggi. Si raccontavano come novelle cavalleresche: salite infinite, incidenti, fame, gelo, solitudine. Il tifoso si commuoveva perché vedeva nel ciclista una forma di resistenza alla fatica della vita.

Oggi, gran parte di quella poesia è soffocata da watt, algoritmi e aerodinamica.

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“Avete già visto uno stagno: sopra, un’irrequietezza di insetti, moscerini, libellule che vibrano, si agitano, sfrecciano qua e là; sotto, lo stagno, immoto, appena sfiorato. Questa è l’immagine che certe volte mi faccio del Ticino” (S. Toppi in “Per conoscere la Svizzera italiana”, 1983, p. 155).

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